Città sospese – MOSTRA DESIO 2021

CITTA’ SOSPESE
Testo di Federicapaola Capecchi


Duarte è un bambino che corre da solo. Con il suo skate percorre chilometri della sua Lisbona. Sua a modo suo perché Duarte, se gli chiedi di dov’è, ti risponde “Sou da Cidade dos Desejos (io sono di Città dei desideri)”. Con il suo casco e il suo skate corre per ore, si lancia per discese e piani, cerca i salti verso l’orizzonte vuoto, per volare sospeso nel niente. Quel niente in cui sogna ogni volta di stare sulla giostra di Berlino, di salire sulla Torre Velasca di Milano e di arrampicarsi sugli altri nuovi grattacieli. Vola tra i quartieri spagnoli di Napoli, si addormenta su poltrone arancioni tra Palermo e muri a secco più lontani, quelli più a sud; con Ikaro Alato plana sul tramonto di Noto e gioca a calcio con altri bambini davanti alle Chiese; ascolta i pensieri di Andreia sparsi nelle gocce di pioggia sul vetro. Si toglie il casco e si siede sul suo skate accanto ad Asante, al porto. Non sempre Asante gli rivolge subito la parola, il più delle volte lo guarda arrivare, gli fa un sorriso e stanno lì, insieme, in silenzio, ascoltando il mare, mentre la cenere della sigaretta di Asante cade a terra spessa, copiosa, come fosse di mille sigarette e Duarte la fissa, fino a quando non si fa tappeto volante su tutte le loro città sospese.

Le città sospese sono un mondo pieno di misteri e di desideri; una magnifica complessità fatta di infinite forme e colori, soggetti, particolari, persino incantesimi, tutti quotidiani e reali: la pelle di ogni città. Sono altrettanto le fotografie di Elena Galimberti che ci permettono di vedere il suo mondo attraverso i suoi occhi. Ognuna di esse racconta una storia che ne sospende (e contiene) altre, comprese le nostre personali, che Elena Galimberti ci permette di raccontare sul suo stesso selciato, sulle sue stessa architetture, sui suoi stessi colori. Ogni fotografia che non porta con sé volti e persone riesce comunque ad essere altrettanto evocativa di quelle in cui riconosciamo il corpo, la postura, gli sguardi, l’umanità. Una poltrona abbandonata in mezzo alla strada, una giacca appesa ad un muro di frasi, un’ombra.

Le fotografie di Elena Galimberti colgono luoghi e persone che sono sotto gli occhi di tutti. Il problema è che bisogna essere in grado di vederli per poterli fotografare. Elena Galimberti si immerge nel mondo che la circonda, è in costante movimento; ancor più è in costante ascolto. Lisce pareti di vetro dei nuovi grattacieli, case di mattoni, profili frastagliati in granito, strade, orizzonti, persone e oggetti raffigurano il senso di una città non solo l’aspetto urbano e culturale. Sono un viaggio nelle anime nascoste delle città, in quelle sospensioni di tempo e spazio che permettono all’immaginazione di attivarsi, alla sensibilità di manifestarsi, alla curiosità di ascoltare e vedere. Città potenti, città abbandonate (non certo perché siano vuote), città anonime, paesaggi rincuoranti e scorci taglienti: tutto è una scelta sofisticata come, al tempo stesso, un desiderio di semplicità. Un desiderio. Punto.

Alcuni sostengono che la fotografia sia spesso un’attività che isola. Elena Galimberti con “Città sospese” dimostra come possa essere invece un modo magico per sentirsi parte del mondo e per entrarvi in relazione davvero. Bisogna essere in grado di vedere ogni cosa che sta lì e cercare quel piccolo mondo a sé compiuto che racconti la nostra storia. Elena Galimberti lo fa con delicatezza e passione, per questo non potevamo, ormai, fermarci solo a Milano.
Dovevamo portarvi per mano – o su un tappeto volante – nel rapporto tra le città e il mare, tra gli edifici e le persone, nelle terre di confine tra mondi che continuano a sfiorarsi ma restano distanti (succede anche in Italia). Volevamo portarvi nelle città, e nelle città di Elena Galimberti, tra il loro futuro e il loro presente.
Città sospese in una quotidiana suggestione, un complesso di elementi particolari che altrimenti resterebbero anonimi. In qualche modo Elena Galimberti, con questo viaggio anche fuori dalle porte di Milano, ha fotografato il fluire del presente scontornandolo e amplificandone i significati. Che sembrano suggerire, da Milano a Palermo, da Lisbona a Berlino, che le città abbiano bisogno – insieme alle proprie libertà, diritti, abitudini, alle proprie unicità – di poter contare sulla propria umanità.

Ora Duarte è un uomo di 45 anni. Negli anni le città su cui volava con lo skate da piccolo le ha visitate per davvero tutte; gli manca solo Firenze. È un musicista, vive ancora a Lisbona. Quasi due anni di Covid sono stati pesanti ma si sta ricominciando a vivere. Le città riprendono i propri ritmi, le proprie abitudini, le strade sono tornate a popolarsi. Le città sospese sono ancora lì, più forti di prima, fotografano scene simultaneamente casuali e precise, testimonianze sociali quanto tesori estetici.
E Duarte si è di nuovo messo in cammino.
Perché l’unica via di salvezza è raggiungere Cidade dos Desejos, una città al di là dello spazio e del tempo, sospesa, dove è nascosta l’umanità, l’unica magia possibile di ogni quotidiana città reale.

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